La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30780 del 26/06/2025 ha confermato definitivamente la condanna di un padre per i maltrattamenti arrecati alla figlia di anni 11 in un arco temporale di sei mesi, dal gennaio al luglio 2020.

Di seguito i fatti.

Un padre, durante la pandemia, mentre si trovava in Svezia per lavoro, nelle occasioni di contatto con la propria figlia quindicenne residente in Italia, era solito rivolgerle insulti pesanti e frasi denigratorie quali: “cicciona, fai schifo, susciti repulsione in me e in chi ti guarda”. Queste condotte culminavano addirittura in un’aggressione fisica e in percosse.

E’ pacifico che le offese continue ed assolutamente gratuite abbiano creato per la ragazzina, peraltro in un periodo molto delicato del suo sviluppo psico – fisico coincidente con la pubertà, un clima di vita “svilente ed umiliante” ed un profondo senso di smarrimento.

I giudici di merito, nel prendere la decisione confermata dalla Cassazione, hanno ritenuto fondamentali:

Irrilevante la mancata convivenza del padre con la figlia all’epoca dei fatti contestati giacché, per giurisprudenza costante, la coabitazione non è requisito necessario per poter configurare il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì soltanto il rapporto di filiazione, di coniugio, la convivenza o l’unione civile.

Non è dato sapere se la minore abbia anche avanzato richiesta di risarcimento danni per le sofferenze patite a seguito del comportamento illecito tenuto dal padre senz’altro dovuti previa prova del pregiudizio patito.